La situazione italiana: legge obiettivo
Per poter comprendere un po' meglio cosa sta accadendo nel nostro Paese, quali sono le leggi che regolano le grandi opere, portiamo alla vostra attenzione parte (cap. 3) del documento Terra rubata, viaggio nell'Italia che scompare, redatto dal FAI e dal WWF.
Le norme e le procedure speciali e gli strumenti programmatori, derivanti dalla cosiddetta Legge Obiettivo finalizzati ad individuare, autorizzare e realizzare le cosiddette infrastrutture strategiche sono uno degli elementi che minacciano il nostro territorio, incidendo significativamente sulle aree di maggior pregio ambientale e naturalistico e favorendo un incontrollato consumo del suolo. Gli scenari che si sono aperti dopo le imponenti modifiche strutturali introdotte nella normativa e nella regolamentazione in materia di lavori pubblici e di valutazione d'impatto ambientale, a partire dal 2001, esulano decisamente dagli indirizzi e dagli obiettivi indicati dai documenti pianificatori in ambito europeo (Libro Bianco) e nazionale (Piano Generale dei Trasporti e della Logistica, PGTL) che, come noto, sono incentrati sul riequilibrio modale [passaggio dalla gomma alla rotaia e all’acqua] e sulla centralità delle politiche di mobilità.
Con i provvedimenti in materia, approvati nella XIV Legislatura (2001-2006), assistiamo ad uno slittamento concettuale dalla logica pianificatoria - inscritta in un quadro di compatibilità ambientali, economiche, sociali e trasportistiche - ad una logica realizzativa della singola opera, che diviene priorità incontestabile in quanto programmata, individuata e localizzata in funzione di un superiore interesse nazionale formalmente pubblico, che ne assicura la sua realizzazione comunque (o "con qualsiasi mezzo", come si legge nel Codice degli appalti, D.lgs n. 163/2006, nel quale è stata trasposta la disciplina del decreto attuativo (D.lgs. n. 190/2002) della cosiddetta Legge Obiettivo (L. 21 dicembre 2001, n. 443) e, aggiungiamo noi, dovunque. A prescindere dal contesto territoriale ed ambientale, dagli strumenti pianificatori esistenti, dalle compatibilità economico-finanziarie e dalla volontà delle comunità coinvolte. In altre parole a prescindere dalla loro utilità, fattibilità, compatibilità.
Il nostro Paese all'inizio del 2001, dopo una discussione durata due decenni, era arrivato a concepire il Piano Generale dei Trasporti e della Logistica (PGTL, approvato nel gennaio 2001) che denuncia, pur nei suoi limiti, il forte squilibrio verso la strada, che ha acquistato nel tempo quote crescenti "con notevoli ricadute sociali, ambientali e economiche". Nel PGTL, come nel Libro Bianco sui trasporti europeo, sono riconosciute e indagate, inoltre, le interrelazioni tra il sistema dei trasporti e lo squilibrio modale con il territorio e l'ambiente e viene precisato che "la crescita del traffico e la prevalenza del modo stradale sono all'origine di esternalità negative in termini di impatto ambientale e di incidentalità. Ne fanno parte fenomeni su scala globale, quali i cambiamenti climatici o l'inquinamento atmosferico di lunga distanza e fenomeni più localizzati, come il peggioramento del clima acustico lungo le direttrici di traffico, l'inquinamento atmosferico di breve raggio, i danni alla stabilità del suolo, all'equilibrio idrogeologico, al paesaggio e alla biodiversità".
Con la Legge Obiettivo viene archiviata ogni logica pianificatoria e al Piano del gennaio 2001 si sostituisce il Programma del dicembre 2001 che contiene un elenco indefinito e potenzialmente infinito di infrastrutture strategiche che non vengono sottoposte a Valutazione Ambientale Strategica, né sono sostenute da studi di fattibilità economico-finanziaria. Il PGTL va archiviato. All'art. 1, comma 1 della Legge Obiettivo si legge: "Il programma tiene conto del Piano generale dei trasporti". "L'inserimento nel programma di infrastrutture strategiche non comprese nel Piano generale dei trasporti costituisce automatica integrazione dello stesso".
E non si tratta solo di questioni formali perché il Programma non tiene in considerazione nelle scelte che opera dell'assoluta necessità di de-finanziare le infrastrutture stradali e autostradali (tant'è che ancora nel 2011 il 45% dei finanziamenti, per 166 miliardi di euro, è destinato alle strade e il 38%, per 142 miliardi di euro, è destinato alle ferrovie), anche in considerazione del fatto che nel corso degli anni il settore dei trasporti è diventato di gran lunga il primo per emissioni di gas serra (con un 27% delle emissioni totali, seguito a distanza dalle industrie energetiche con il 15%). Tutto ciò mentre nel 2001 il 60% delle merci e l'85% dei passeggeri sceglieva la gomma, mentre nel 2009-2010 il trasporto merci su strada è salito al 62,28% e il trasporto passeggeri ha toccato vetta 92,07% (Contro Nazionale dei Infrastrutture e dei Trasporti - CNIT).
Si aggiunga che il Primo Programma delle infrastrutture strategiche è del tutto fuori controllo (la vigilanza e il monitoraggio delle grandi opere viene effettuato da almeno 10 diversi organismi) sia il numero delle opere previste, che i suoi costi complessivi continuano a lievitare: dalle 115 opere del 2001 per un costo complessivo di 125,8 miliardi di euro, alle attuali 390 opere (con un incremento di 275 opere rispetto al Programma originario) per un valore complessivo di oltre 367,4 miliardi di euro (con un costo raddoppiato nell'aprile 2011 rispetto a quanto previsto nel 2001).
Ma a questa lievitazione dei costi non corrisponde un conseguente ed adeguato successo realizzativo: dal 2001 all'aprile 2011 sono state ultimate solo 30 opere per un costo complessivo di 4,467 miliardi di euro, che sono equivalenti ad un modestissimo 1% del valore complessivo del Programma.
Tutto ciò è il risultato non solo della mancanza di una corretta valutazione strategica delle risorse ambientale e territoriali e dell'assenza di una programmazione economico-finanziaria basata sulle risorse pubbliche realmente disponibili, ma anche di procedure autorizzative che consentono l'accesso ad una Valutazione di Impatto Ambientale - VIA ipersemplificata (e, nello stesso tempo, volutamente complicata ed opaca) a progetti che, per la stragrande maggioranza, non sono sostenuti da un adeguato studio di fattibilità economico-finanziaria che dimostri l'utilità e la redditività delle opere.
Infatti la procedura speciale di VIA per le c.d. infrastrutture strategiche garantisce una corsia preferenziale alle infrastrutture strategiche finalizzata più che alla reale verifica degli impatti, alla compatibilizzazione delle opere.
La procedura VIA è compiuta sul progetto preliminare, senza alcun vaglio approfondito delle possibili alternative, e con una verifica di ottemperanza pro-forma nella fase di progettazione definitiva delle prescrizioni e raccomandazioni dettate dal CIPE in fase di progettazione preliminare. La decisione finale di compatibilità ambientale è adottata a maggioranza dal CIPE e non più dai Ministeri competenti (Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e Ministero dei beni e delle attività culturali) come per la c.d. VIA ordinaria. Ai cittadini e alle associazioni che rappresentano l'interesse collettivo alla tutela dell'ambiente non si assicura alcuna partecipazione e anche le informazioni non sono garantite (soprattutto nelle fasi di integrazione del progetto preliminare), né si tiene nel giusto conto, nella formazione del giudizio di compatibilità ambientale, delle Osservazioni da questi prodotte.
Gli enti locali, in primis i Comuni competenti per territorio, hanno una funzione semplicemente "ancillare" delle decisioni.
La Corte di Conti conferma quell’imbarbarimento pianificatorio e progettuale generalizzato […] provocato dalle procedure speciali introdotte dalla nuova normativa per le infrastrutture strategiche.
Gli effetti sul territorio del programma della legge Obiettivo
Nel libro ‘'La cattiva strada'' (Perdisa Editore – febbraio 2006) - a cura di Franco Ferroni, ora responsabile della Policy sulla biodiversità del WWF Italia, di Andrea Filpa docente di urbanistica della Facoltà di Architettura all'Università Roma Tre e di Bernardino Romano docente di Urbanistica della Facoltà di Ingegneria dell'Università dell'Aquila - si presenta una prima analisi qualitativa del rischio che una infrastrutturazione del Paese, mal programmata e progettata, può far correre a territori ed aree di pregio, tutelate in ambito nazionale e comunitario. Nel libro si ricorda che gli impatti delle infrastrutture stradali e ferroviarie sui sistemi naturali, sono riconducibili essenzialmente a tre tipologie: la distruzione degli habitat, l'impatto diretto sulle popolazioni animali e la frammentazione della continuità ambientale. Per frammentazione si intende quel processo dinamico di origine antropica attraverso il quale un'area naturale subisce una divisione in frammenti più o meno disgiunti e progressivamente più piccoli ed isolati. Molte specie diventano vulnerabili all'estinzione quando, come conseguenza della frammentazione, l'area di habitat idoneo disponibile si riduce di superficie al di sotto di una determinata soglia, ed i frammenti residui cominciano ad essere progressivamente più distanti ed isolati.
Le opere della Legge Obiettivo interagiscono direttamente occupandone porzioni più o meno grandi di territorio, con 84 aree naturali protette, pari al 7% circa del totale, intersecano, provocandone la frammentazione, l'8% dei SIC italiani, interessano 64 siti cioè circa il 30% delle aree IBA.
Gli autori concludevano nel 2006: "Risultano già evidenti, dalle nostre prime sommarie elaborazioni, i limiti intrinseci di una valutazione dell’impatto sulla biodiversità effettuata, come sovente accade sulla singola opera o perfino su singoli progetti di stralci funzionali. Per superare almeno parzialmente questi limiti l’approccio idoneo consiste nel valutare l’impatto sulla biodiversità dell’insieme delle opere previste dalla Legge Obiettivo a scala ecoregionale. Questa valutazione dovrebbe comprendere l’analisi delle interferenze potenziali dell’insieme delle opere e del consumo dei suoli indotto, sulla rete ecologica di area vasta. Il quadro di riferimento da assumersi per una valutazione realistica degli impatti sulla biodiversità delle opere programmate dalla Legge Obiettivo non può che essere quindi un modello di rete ecologica a scala ecoregionale la cui struttura e funzionalità saranno determinate dagli obiettivi di conservazione (per specie, habitat e processi ecologici). Assolutamente fuor di retorica, la nostra è l'ultima generazione in grado di invertire un processo di degrado e consumo di suolo che viaggia quasi ineluttabilmente verso la irreversibilità, e quindi deve farsi carico, soprattutto nelle aree delle Alpi e dell'Appennino, di gestire responsabilmente il dualismo wilderness and people, che appare a tutt'oggi di grande valenza, ma anche di enorme vulnerabilità".
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