Tratto dal film di Nicola Dall'Olio Il suolo minacciato
Luca Mercalli Climatologo e Presidente Società Metereologica Italiana
Se l’espansione edilizia degli anni '60-’70, del dopoguerra era giustificata dal tentativo di un paese prevalentemente rurale di avere la sua parte di benessere, paradossalmente oggi, negli anni 2000, è del tutto ingiustificato questo nuovo attacco al suolo che si sta consumando. Non abbiamo più delle necessità pressanti di tipo sociale e quindi abbiamo avuto un consumo di suolo veramente dettato solo da motivazioni speculative.
La legislazione quindi che ha privilegiato lo sviluppo costruito solo a base di calcestruzzo e non su altri filoni, che pure potevano avere una forte vocazione, ha fatto sì che ogni comune abbia voluto la propria zona industriale [ed artigianale] inizialmente per motivi di ipotetico prestigio, 30 anni fa avere la zona industriale era sinonimo di riscatto sociale, di paese moderno, oggi non è più solo questo, è anche un modo per fare cassa.
Questo assalto ai beni comuni è anche tragicamente la constatazione di un fallimento culturale. Un popolo che ama veramente il proprio Paese, che lo conosce, che conosce il proprio territorio, che ne comprende quelle che sono le eredità storiche e ha un progetto di futuro non avrebbe mai fatto tutto ciò per un pugno di monete. Il fallimento culturale è un Paese che vede intanto nell’agricoltura un qualcosa da nascondere, un qualcosa di cui vergognarsi. Il fatto di sentire l’agricoltura come qualcosa di marginale come qualcosa di non moderno, di non interessante anche ai fini economici, dello sviluppo del futuro, fa sì che le persone abbiano più facilmente alienato il loro bene suolo, vedendone una possibilità rapida di disfarsi di un passato ingombrante.
In Italia la cementificazione è un fenomeno molto gravoso anche perché è un Paese dalle dimensioni particolarmente modeste. L’Italia ha un territorio di 301 mila Km quadrati di superficie totale di cui però oltre il 40% è territorio montuoso. Se consideriamo le aree agricole e di pregio scopriamo che una buona parte di queste aree è stata edificata. Nel 2000 il 7% di territorio era edificato (non esiste un censimento aggiornato dell’uso del territorio nazionale). Si assiste alla costruzione di nuovi capannoni che molto probabilmente rimarranno inutilizzati, nuove infrastrutture viarie che produrranno nuovo traffico, nuovo inquinamento, produzione di rifiuti, il tutto senza un progetto preciso a scala territoriale vasta [nel nostro caso non si tiene conto della costruzione della terza corsia della A4].
La cementificazione del territorio è un fenomeno assolutamente italiano che pesca nella torbidità degli interessi locali e, a scala maggiore, senza tener conto di nessuno degli altri elementi di equilibrio nella gestione del territorio. I capannoni [la cementificazione] oggi non sono un’espressione di esigenze locali ma semplicemente un’espressione della rapacità di uso rapido di una risorsa per fabbricare denari. Spesso le opere costruite devastano il paesaggio, limitandone anche la fruizione turistica nonché la qualità di vita degli abitanti stessi. Le opere non sono più calibrate sulle reali necessità del territorio.
Se una cosa è limitata sul pianeta è la terra e ancor più la terra fertile. Il rispetto che dobbiamo al suolo è enorme e non dobbiamo esaurirlo con processi che lo consumano per sempre. La cementificazione è uno di questi.
Carlo Petrini Presidente Slow Food
Visto il basso interesse che l’agricoltura ha nel PIL non abbiamo [in Italia] pensato di difendere il comparto dell’agricoltura locale ma questo errore lo pagheremo caro perché nel momento in cui (anche per motivi energetici) diventerà essenziale rilocalizzare l’agricoltura, noi ci troveremo senza spazi adatti. [La rilocalizzazione dell’agricoltura infatti diventerà indispensabile in quanto il costo dei carburanti renderà impossibile continuare a trasportare i generi agricoli da uno Stato all’altro, da un continente all’altro come si sta facendo ora. Al giorno d’oggi infatti continuiamo a sottrarre terreno all’agricoltura in Italia e contemporaneamente cerchiamo terreno da coltivare nei Paesi emergenti].
Edoardo Salzano Urbanista
Sviluppo significa tante cose. Può avere significato positivo o negativo, lo sviluppo della capacita di comprendere da parte di una persona è sicuramente un elemento positivo, lo sviluppo di una malattia è un elemento negativo. Adesso invece sviluppo è sempre inteso positivamente e si intende sempre sviluppo economico. Il misuratore dello sviluppo è il PIL. Sapete che il PIL aumenta se c’è un incidente di automobile? Perché più incidenti ci sono più macchine si devono riparare, più macchine si devono costruire; una costruzione abusiva aumenta il PIL due volte, primo perché viene costruita secondo perché viene demolita. Misurare lo sviluppo della civiltà attraverso il PIL è la peggiore bestemmia che si possa fare contro l’umanità.
Bisogna far rinascere il pensiero critico che si è spento. Le persone accettano le cose come inevitabili, come sempre esistite, non è così.
La storia non è sempre esistita, la storia la scriviamo noi. La storia che conosciamo è l’unica storia che è avvenuta, ma non è l’unica che era possibile. E così noi oggi dobbiamo sapere che possiamo cambiare le cose ma prima di cambiarle dobbiamo capire che cosa le cose sono, perché succedono, dopodiché dobbiamo lavorare come cittadini. Chi decide l’uso del territorio secondo la legge sono i comuni, le regioni quindi sono i cittadini in ultima istanza perché sono loro che eleggono i loro rappresentanti. Ora benché la democrazia sia in crisi, sia una democrazia largamente imperfetta, quella in cui viviamo, i suoi strumenti vanno usati assolutamente e bisogna incalzare i politici a fare piani urbanistici [e infrastrutturali] seri che risparmino suolo, che consentano di costruire solo là dove è strettamente necessario per esigenze sociali dimostrate, argomentate, documentate. Non si costruisce dove ci sono case o capannoni vuoti, dove ci sono aree urbanizzate (infrastrutture) che possono essere utilizzate. Negli anni ’60-’70 gli strumenti per un uso saggio del territorio sono stati fatti.
La cosa che è essenziale avere è l’amore per la terra, la terra vergine è un bene, la terra così com’è, lavorata dal verme che la rende permeabile, la terra elemento del ciclo del quale noi stessi siamo parte e in assenza del quale noi saremmo scomparsi e noi scompariremo come umanità se questo modo di procedere va avanti. Beh, la terra in sé, la terra vergine, la terra libera, la terra non utilizzata è un bene prezioso e dobbiamo imparare ad amarla.
Il territorio è usato esclusivamente per costruire, è merce per costruire, è come la calce, il cemento, il mattone. È un elemento che non è considerato di per sé, per la sua qualità, nella ricerca della migliore utilizzazione, l’unico obiettivo del territorio è consentire a qualcuno di costruire qualcosa che abbia un valore di mercato. Una volta il territorio era considerato per ciò che dava, per i suoi prodotti agricoli, per la sua fertilità, per la sua bellezza, oggi il territorio è semplicemente uno strumento per costruire anche cose spesso inutili.
Uno sviluppo "diverso", più rispettoso del territorio e del suolo, è possibile e questa alternativa dipende in ultima istanza dalle scelte e dal volere dei cittadini.
Nicola Dall’Olio WWF Emilia Romagna e ASPO (Associazione per lo Studio del Picco del Petrolio)
Poter contrastare il consumo di suolo è anche una questione culturale; bisogna creare consenso, bisogna sensibilizzare le persone perché molta gente vive dentro, vede queste trasformazioni continuamente tanto che non si rende quasi neanche conto di quanto si sta imbruttendo il territorio. Questi interventi vengono giustificati con la prospettiva di sviluppo. Una cosa da fare quindi è disinnescare l’ideologia che lo sviluppo possa essere solo di un certo tipo e che possa andare solo in una direzione praticamente in una logica binaria: o è cosí oppure è arretratezza. Bisogna fare vedere che esistono modelli alternativi. Il suolo è una risorsa non rinnovabile, prezziosissima e scarsa a livello globale.
Consumare suolo qua (in Italia) significa ridurre la nostra capacità produttiva e ridurla a livello globale per cui non è solo questione di stare in un bel posto, c’è anche la responsabilità di una risorsa che serve a tutta l’umanità. Consumare suolo qua significa che in qualche parte deve essere sostituito, deve essere compensato ed è quello che sta accadendo. La maggior parte degli allevamenti sono alimentati con soia e mais, quasi sempre transgenici, che provengono dall’Argentina e dal Brasile ed è uno dei più grossi meccanismi di deforestazione in moto in questo momento. Da noi non c’è abbastanza suolo per reggere il nostro settore zootecnico, non c’è abbastanza suolo neanche per spargere i liquami per cui, in alcune zone, accade che ci siano problemi con le falde. Consumare suolo qua significa intaccare la foresta amazzonica.
Il picco del petrolio o c’è già o è alle porte dopo di che la produzione di petrolio comincerà a declinare come in molte zone del mondo è già avvenuto. Questo significa che avremo più richiesta di suolo non solo per scopi alimentari ma anche per la biochimica [per nuove fonti di energia]). Non potremmo neanche più sostenere un sistema di alimentazione e di importazione cosí globalizzato come questo, ma dovremo recuperare delle filiere corte, delle filieri locali ma se il territorio non c’è andremo a perdere un’occasione economica, di benesse e di qualità di vita indispensabile per il futuro.